EARLY WORKS

2010

Se c’è una cosa che mi ha sempre colpito di Zeni (lo conosco da molto prima che mi chiedesse di scrivere queste righe) è la mobilità. E lo dico nel bene e nel male: mobilità di idee (è incoerente), mobilità fisica (non lo si trova mai), mobilità di emozioni (non lo si trova mai dell’umore che si vorrebbe).
Per chi ama i denominatori comuni, c’è la notte, non onnipresente, ma molto presente; direi per un fatto biografico (si tratta di uno dei contesti più frequentati da Zeni) ma anche per un fatto tattico: mai la notte che nasconde; la notte, anzi, che svela, che raccoglie incognite appiattite e le dichiara, isolandole per mezzo del buio / cornice da tutto il resto e rendendole protagoniste, memorizzabili, addirittura memorabili, come certe emozioni di viaggio, certi ricordi notturni: un mix di sogno, ricordo, rimpianto, invenzione e ridefinizione.
Un’altra colpa di Zeni è il protagonismo. Ma in questo caso diventa una garanzia di autenticità. La sua visione non è mai esterna alla scena, ma dentro, è la visione di un presente, di un testimone oculare che percorre la scena. Quando questa presenza attiva, questa testimonianza del movimento ci tocca, anche noi ci "muoviamo con". Ci commuoviamo, cioè.

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